Perché con la paura si smette di pensare?

Perché con la paura si smette di pensare?

Cos’è l’orrore ? … e cosa il terrore ?
Per rispondere mi avvarrò in principio di una piccola apparente digressione sulle radici etimologiche di queste parole.
Se si osserva l’origine latina del termine orrore dal verbo passivo ‘orrēre’, recuperiamo la sensazione della pelle irta e ruvida quando si arriccia nell’accapponarsi per i brividi suscitati dal terrore.
Orrore e terrore : entrambe le parole accomunate dallo stesso fonosimbolismo, per via della doppia erre, che onomatopeicamente riproduce con il suono  l’effetto di quel brivido. il ‘brrrrrr‘ del raccapriccio, della paura che il terrore ha innescato facendosi fisico e tangibile.
Terrore deriva da ‘tèrrere’,  far tremare, e rassomiglia non a caso anche a ‘tremore’, il ‘trrrrrr‘ che ricorda la tragedia.
Mi fermo e penso.
Si, perché se c’è una cosa che il terrore e la paura impediscono di fare e il fatto di poter pensare.
Mettono sotto assedio il sistema limbico, quella parte cioè del nostro magnifico cervello deputato a sentire le emozioni, impedendogli in tal modo di comunicare con la corteccia cerebrale, la altresì detta ‘materia grigia’, preposta alla funzione pensante…
Come se, passatemi l’espressione, le porzioni di cervello emotivo e raziocinante venissero rese non-comunicanti tra loro da una  barriera rigida ed impermeabile per l’effetto paralizzante dello shock traumatico.
Ma al trauma occorre dare risposte.
Alle emozioni occorre offrire le gambe di un pensiero, per renderle sopportabili, per attraversarle senza esserne schiacciati,
Soprattutto per non incorrere in agiti acefalici ….come ad esempio la vendetta, incapace non solo di risarcire le vite sciupate nel qui ed ora ma anche di impedirne  il ripetersi.
Sì, perché vendetta è divenuto sinonimo di trauma e il trauma chiama trauma laddove non venga spezzata la barbarica catena di inaudite crudeltà ….
Vendetta…….Dal latino ‘vindicāre‘,  o meglio, ‘venum-dicāre‘, indicare il prezzo, pagarlo per liberare un bene, uno schiavo….dunque vendetta etimologicamente come liberazione pagando un prezzo, assumendosi i costi di uno scambio. E fino a qui nessuna accezione negativa, anzi, esattamente il contrario.
Considero ora le attuali implicazioni della parola vendetta d’abitudine intrisa di accezioni che richiamano la violenza…..e mi domando:
forse perché per vendicare una violenza subita il prezzo da pagare è assumersi il costo di fare a propria volta violenza…?  E quindi la vendetta etimologicamente sarebbe una violenza di scambio….?
Se così fosse la vendetta altro non è divenuta se non la parte degenerante del commercio umano …..da annoverare fra quello degli armamenti, certo anche questo…..
E quindi, la suddetta catena non si può spezzare, perché risponde alla vendetta altrui con se stessa ormai da troppo tempo.
La legge medievale del taglione…
Io rispondo col pensare.
Non per porgere l’altra guancia.
Non per buonismo.
Non per indifferenza.
Ma perché un trauma lascia segni tanto più profondi quanto meno si possono elaborare gli eventi occorsi, si possa risanare la rete dei pensieri sottoposti alle scosse sismiche del trrrrr-auma, della ferita…..
Uno studio condotto sui sopravvissuti all’attacco al porto militare di Pearl Harbor, sull’isola  hawaiiana di Hoahu, nella contea di Honolulu. ha dato risultati in questo senso illuminanti,
Colpita all’improvviso dai giapponesi nel corso della seconda guerra mondiale, i superstiti fin da subito hanno mostrato di rispondere in due modi antitetici all’accaduto .
Una parte dei miracolati non riusciva a tornare a vivere la propria vita come prima del fatto catastrofico, un’altra invece aveva ripreso la normalità svolgendo le attività quotidiane in modo regolare.
Le inchieste hanno prodotto una conoscenza sorprendente circa questo genere di circostanza traumatiche.
Coloro i quali avevano ripreso quasi subito la loro routine erano marinai addetti alle cucine che avevano avuto la prontezza di formulare almeno il pensiero di provare a reagire : cosa che fecero lanciando dal ponte verso il cielo ai nemici le patate che avrebbero dovuto cucinare….
Il fatto è che – pur non avendo sortito alcun vantaggio di carattere bellico – il loro gesto, espressione di un pensiero di salvezza, aveva impresso nella loro rete neuronale d’informazione la tangibilità di un tentativo di risposta all’impotenza sperimentata.
Avevano saputo pensare e agire anziché restare passivi ed inermi, paralizzati cioè dal terrore caduto dall’alto senza preavviso di sorta.
Chi aveva subito bombardamento senza reagire ma restando gelato dallo spavento, invece, era caduto successivamente in depressione, pervaso dal senso annichilente di impotenza….
Ora, gli attentati terroristici appena occorsi a Beirut e a Parigi in qualità di scosse sismiche improvvise possono ben essere intesi come un terremoto psicologico e sociale – da notare anche qui, il ripetersi del fonosimbolismo presente nei termini sopra analizzati, terrore, orrore……Un  terremoto la cui risposta non può che essere un attivarsi congiuntamente nella funzione pensante, perché acefali, svuotati di riflessione ed iniziative, impietriti ed impotenti, ci vorrebbero i vendicatori del l’isis, facendo pagare all’intera comunità lo scotto del loro rivendicare.
Dico certo che occorre  assumersi le proprie responsabilità di europei colonizzatori, nel passato, nel XX come nel XXl secolo, con i nostri spietati commerci e le nostre sperequazioni, le nostre invasioni e mortificazioni globalizzanti.
Ma dico anche che non possiamo, non dobbiamo cedere, mai, al panico del non-pensiero, né soccombere all’oscurantismo e all’orrore..
Le risposte riposano in questa funzione.
uniamoci nel pensiero!

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