Liberi dal passato

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Liberi dal passato

La vita è una strada sterrata e polverosa, con pietre aguzze…noi a percorrerla a piedi scalzi, il più delle volte, correndo…ferendoci…
Poi però ai suoi margini si possono scorgere all’improvviso siepi con piccole fragole selvatiche, more, gelsi e lamponi: che ne sarebbe del nostro viaggio se non ci fermassimo a godere di ciò che di bello la vita ci offre in dono, come proseguire, senza assaporare le inaspettate gioie che dispone sul nostro cammino per alleviarci dalle fatiche?
Eppure talvolta le troppe spine  dolgono ancora e la mano non osa più accostarsi alla siepe.
Talvolta antichi dispiaceri, ricordi di fatti lontani sembrano ancora così vividi, come appena accaduti ed il dolore ad essi legato, sordo e pungente.
Spesso si rinuncia a godere della vita per non incorrere in ulteriori sofferenze.
Ma sciogliere questi blocchi e memorie traumatiche è ormai possibile, grazie ad una tecnica terapeutica, nota come EMDR ovvero Riposizionamento e Desensibilizzazione del Ricordo Traumatico tramite Movimenti Oculari o, nel caso di persone con disturbi oftalmici, anche tramite Tapping (tamburellamento).
Liberarsi dal passato e lasciare scorrere le emozioni si può. Riattivare energie spese ad evitare anziché ad andare incontro, a trattenere il respiro invece che ad abbandonarvisi, significa risvegliare vitalità, speranza e ritrovare entusiasmo, nel quotidiano le dinamo per essere in contatto con Sé stessi.

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Kintsugi, l’arte delle preziose cicatrici

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Kintsugi, l'arte delle preziose cicatrici

Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempendo la spaccatura con dell’oro.
Credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia diventi più bello.
Il lavoro di elaborazione delle ferite nell’anima altro non è che questo…
‘Rimettere insieme i cocci della propria vita’ non si limita ad un’operazione di mero assemblaggio…
È l’occasione rara di riscrivere la propria storia, rivisitarla, tesaurizzandone i vissuti.
Non si tratta di uno scavo archeologico come una lettura scarsamente approfondita di Freud ha lasciato supporre in molti.
Bensì di riabilitare e dar vita a parti rimaste sepolte e inutilizzate, restituendo valore all’essere.
A volte le persone temono di perdere irrimediabilmente parti di sé, parti di cui si vergognano perché rimaste ‘piccole’ in quanto fragili…spesso ferite…
Ecco allora che l’elaborare diviene mezzo di evoluzione non di eliminazione…creando una sutura dorata che non butta, non scarta, ma accoglie, apprezza, ed ama.

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1° appuntamento con l’angolo ZEN

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1° appuntamento con l'angolo ZEN

Kitagawa Utamaro, Beauty and Tea Cup, Originally in Edo era. This re-carved edition was made probably in the early 20th century.

Inizia la RUBRICA delle 101 STORIE ZEN a confronto con il pensiero psicoanalitico
Oggi vi propongo la celeberrima Tazza di tè con una mia riflessione.

UNA TAZZA DI TÈ

Nan-in, un maestro giapponese dell’era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen.
Nan-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare.
Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a contenersi. «E’ ricolma. Non ce n’entra più!».
«Come questa tazza,» disse Nan-in «tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?».

***

Questa è una delle storie zen che più spesso mi è capitato di raccontare in seduta.
Il paziente che arriva al suo primo colloquio ed anche ai successivi, in genere porge di sé e della sua vicenda umana un racconto filtrato dalle sue opinioni e congetture, di cui è interamente imbevuto.
Per la maggior parte delle persone è difficile abbandonare le proprie credenze, i retaggi, le idee costruite circa la loro identità e magari distorte nel tempo dentro a relazioni non sempre sane

Ma chi è la tazza e chi la teiera che versa il tè ? E cosa il tè…?
Penso che il trattamento psicoanalitico si distingua dagli approcci di cura presenti sul mercato perché non tenta di suggerire o indicare dall’esterno strategie o comportamenti più efficaci per il soggetto.
Non tenta di rovesciare nel cliente il proprio “sapere”.
Non ha la presunzione di fare tabula rasa e ‘inoculare’ frettolosamente una serie di precetti e modalità per trasformare forzosamente un individuo.
Né il terapeuta si eleva ad esperto e guru o, come ormai è in voga , a coach.

La tazza vuota è la mente del terapeuta psicoanalitico e il tè sono i racconti più o meno dolorosi, del paziente-teiera, i suoi pensieri-impensabili in cerca di un pensatore ( il terapeuta dalla mente-tazza vuota) che li contenga inizialmente perché la “teiera” non è più o non è ancora in grado di gestirli, o meglio, di ‘contenerli’.
Prima di chiedere ai pazienti di fare posto dentro di sé per i “buoni consigli” è auspicabile, anzi, necessario, essere terapeuta concavo per accogliere nella propria cavità il mondo delle persone che in lui depongono con coraggio – spesso dopo non poche delusioni, ferite ed abbandoni – la propria storia con in cuore una sottile ma lucente speranza che non tutto, forse, è perduto.

Ecco che il tè-racconto stilla, goccia a goccia, oppure in un gesto impetuoso rotola fuori dalla teiera (tetzubin) fino a rovesciarsi del tutto, come dicevamo, nella mente-tazza del terapeuta.

Per rispecchiamento, in modo progressivo, anche nel paziente accolto con tale apertura e disponibilità inizierà a ricrearsi, come un circolo virtuoso, la stessa modalità vissuta in seduta.
Se inizialmente non era in grado di liberarsi di schemi mentali e di comportamentI auto-etero-lesivi, né di ‘assimilare’ pensieri ‘indigesti’, in seguito, le esperienze di ascolto, di silenzio non giudicante, di partecipazione e contenimento sperimentati nel contatto terapeutico, favoriscono il rinsaldarsi o lo sviluppo ex-novo di un analogo apparato di pensiero, alla stregua di un apparato digerente, solo che di contenuti mentali anziché di alimenti.

Questa visione dei pensieri assimilabili come cibi (Wilfred Bion) o liquidi (storia zen) affonda le sue radici nel presupposto secondo cui, per elaborare i prodotti mentali, anche l’apparato mentale preposto a tale compito funzioni in modo analogo ad un sistema digerente sufficientemente maturo.
D’altro canto si deve partire da un vuoto, come conditio-sine-qua-non, per accogliere tali cibi-liquidi/pensieri di un altro essere ed avviare l’elaborazione-digestione di quei contenuti rimasti in lui bloccati o irrisolti, cioè indugesti, fino a promuiverne il progresso, la guarigione ed il benessere .
Avanzamento ed metabolizzazione interrottisi nel passato (più o meno recente) o addurittura mai avvenuti per lacune relazionali dovute alle figure di accudimento iniziali.

Dunque il trattamento analitico si dispiega proprio a partire da una presenza recettiva e silenziosa, quasi materna, da uno spazio cavo come lo sarebbe il ventre femminile prima di ospitare un bambino per tutto l’arco di gestazione. Solo in questo modo il processo metabolico-digestivo dei pensieri impensabili può prendere le sue mosse, ovvero, da un terapeuta disposto a fungere da    io – ausiliario del paziente, nell’attesa che transiti in lui per innata imitazione ( neuroni a specchio, si veda Daniel Stern) questa funzione di assimilazione/ assorbimento delle idee.
Quando il paziente sperimenta la pensabilità di ciò che per lui era impensabile, il processo terapeutico può dirsi volto al termine ed il soggetto pronto ad essere tazza-vuota a sua volta.

PAROLE CHIAVE : ASCOLTO, ACCOGLIENZA, SPAZIO, TERAPEUTA, METABOLISMO, DIGESTIONE, PENSIERI IMPENSABILI-INDIGESTI, ASSIMILAZIONE, BLOCCO, IRRISOLTO, PENSABILITÀ, WILFRED BION, DANIEL STERN, NEURONI A SPECCHIO – RISPECCHIAMENTO, GUARIGIONE, MENTE VUOTA

L’Angolo Zen,

 

 

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